lunedì 19 marzo 2018

Jane



Ieri sera ho visto un bel documentario. Intitolato semplicemente Jane, è essenzialmente un montaggio a partire da un centinaio di ore di immagini girate negli anni '60 da Hugo van Lawick per il National Geographic.
Non sono un fan del National Geographic, che ha sempre prodotto immagini troppo patinate e che troppo spesso — come lo ammette onestamente la direttrice attuale della rivista, Susan Goldberg, nel numero datato aprile 2018 e interamente dedicato ai problemi razziali — hanno offerto ai lettori visioni paternaliste e perfino razziste delle civiltà non occidentali. Per gli stessi motivi non sono un fan del canale televisivo della NG. Ma questo documentario volevo proprio vederlo, perché la Jane del titolo era Jane Goodall.
Di lei mi aveva parlato per la prima volta nel 1969 la mia amica Chiara, allora studentessa in veterinaria ed entusiasta raccontatrice di storie di scimpanzé e gorilla. Il suo entusiasmo mi aveva contagiato e tre anni dopo, a New York, vedendo in libreria un'edizione tascabile di In the Shadow of Man, il terzo ma di gran lunga più famoso libro della Goodall, lo comprai e lo lessi avidamente. Quel libro ce l'ho ancora, anche se le pagine, più che ingiallite, sono ormai brunite dal tempo. Una decina di anni fa, quando mi sono separato dalla maggior dei libri che avevo in casa regalandoli a una biblioteca, questo è uno dei pochi che ho tenuto, uno dei pochi dai quali non ho potuto separarmi. Quindi è ovvio che ieri sera abbia guardato quel documentario. Bello.
Jane Goodall è un personaggio affascinante. Nata nel '34 a Londra, fece conoscenza col suo primo scimpanzé a 4 anni. Lui si chiamava Jubilee ed era un peluche. Lei era troppo giovane per dirgli "Tu Jubilee, io Jane", ma non importa.
Un po' più tardi, Jane lesse la serie di libri del Dottor Dolittle, che raccontavano di un medico che, lasciando da parte gli umani, si metteva a curare animali, dei quali capiva e parlava la lingua, per poi diventare naturalista.
A 23 anni, dopo avere lavorato un po' come dattilografa e poi come cameriera non parlo più di Dolittle, riparlo di Jane), spese tutti i suoi risparmi nell'acquisto di un biglietto per il Kenya, dove una sua amica d'infanzia l'aveva invitata. Il Kenya a quei tempi era ancora una colonia britannica, da vari anni teatro di quella rivolta dei Mau-Mau che l'avrebbe portato all'indipendenza dal Regno Unito nel dicembre del '63.
A Nairobi Jane ottenne un appuntamento dal famoso paleoantropologo Louis Leakey, i cui ritrovamenti avevano dimostrato che l'homo sapiens veniva dall'Africa e non dall'Asia, come si credeva allora. Lei voleva solo incontrare uno dei suoi idoli, sperava di poter parlare un po' con lui del suo tema preferito, gli animali selvaggi dell'Africa, ma lui l'assunse come segretaria. Sarebbe logico pensare che all'inizio Leakey fu solo colpito dall'entusiasmo di quella magrissima biondina dalla coda di cavallo da Alice nel paese delle meraviglie e dagli incisivi da Bianconiglio, ma da quanto racconterà poi la stessa Goodall le avances del cinquantaquattrenne scienziato con moglie e tre figli lasciano supporre altri motivi. Ma non importa. Lei riuscì, con quella calma, quella pazienza e quella determinazione che caratterizzeranno poi tutto il suo lavoro, a calmare i bollori del suo datore di lavoro, che finì per capire che non c'era niente da fare.
Leakey, che quando non si lasciava sopraffare da quelle tempeste ormonali che a una certa età sono un chiaro sintomo dell'avvicinarsi della senilità e che io stesso, vabbè, lasciamo perdere. Leakey, dicevo, da grande ammiratore di Darwin, era convinto che gli uomini e i grandi primati avessero degli antenati comuni, il che, per strano che possa sembrare oggi, una sessantina di anni fa non era ancora accettato da tutti. Pensava anche che solo uno studio in loco di scimpanzé, gorilla e oranghi avrebbe permesso di trovare conferme a questa sua idea. Quando conobbe Jane, si disse che il fatto stesso che non aveva mai messo i piedi in un'aula universitaria sarebbe stato un vantaggio, perché l'avrebbe lasciata libera dai preconcetti dell'insieme del mondo scientifico. Le propose quindi di andare a studiare il comportamente degli scimpanzé in culo al mondo, che in quel caso era la Tanzania occidentale. Lei accettò con entusiasmo. 
Prima però, forse per non esagerare con l'ottimismo, Leakey la rimandò per un anno a Londra, per una rapida formazione di base sia con il primatologo Osman Hill che con lo specialista dell'homo abilis John Napier.
Di ritorno in Africa, il 14 luglio 1960 Jane arrivò nel Parco Nazionale del Gombe Stream, sulle rive di quel lago Tanganica che funge da confine tra Tanzania e Congo. Da notare però che le autorità britanniche avevano escluso nella maniera più assoluta di permettere a una ventiseienne biondina londinese con coda di cavallo e denti da coniglio di andarsene da sola nella foresta equatoriale, il che pareva tanto più ragionevole che la città più vicina al suo luogo di destinazione previsto, Kigoma, era inondata da migliaia e migliaia di congolesi che, attraversando in un modo o nell'altro i 40 chilometri di lago, erano sfuggiti alle crudeltà della guerra civile per venirsi a rifugiare in quello che allora era ancora il Tanganica e che sarebbe poi diventato la Tanzania. Jane contornò quel divieto nella maniera più semplice, chiedendo alla madre di accompagnarla. Reazione molto british. Soprattutto da parte della madre, che accettò senza indugi. 
È così che Jane diventò la prima delle Trimates, come dicono gli anglofoni unendo il prefisso tri al sostantivo primati in riferimento alla stessa Goodal, a Dian Fossey, che studierà i gorilla in Ruanda e a Biruté Galdidas che farà lo stesso con gli oranghi nell'isola del Borneo. Tutt'e tre partiranno grazie a Leakey.
Sai cosa? Mi fermo qui. Sì, lo so, potrei racconrati anche altre cosqe belle, ma per oggi ho scritto abbastanza. E poi non ho voglia di parlarti del documentario. Ti dirò solo che a me è piaciuto e quando mi sono alzato dalla poltrona sono andato a prendere il libro della Goodall dallo scaffale e me lo sono portato in camera da letto in vista di una prossima rilettura. So che su Sky il documentario ripasserà. Se fossi in te, io me lo guarderei.Però fai tu.
Ah, un ultimo dettaglio: il fotografo Hugo van Lawick a cui ho accennato all'inizio si chiamava in realtà Hugo Arndt Rodolf, Barone di Lawick. Siccome ha poi sposato Jane Goodall, lei è baronessa. O lo è stata. Divorziando da un barone la ex-moglie resta baronessa? Boh. Per fortuna la Regina Elisabetta l'ha fatta Dame Commander of the Order of the British Empire, il che magari non fa di lei una Baroness, ma una Dame sì. E questo è sempre meglio di niente.
Mo' vado a farmi un caffè.