giovedì 6 dicembre 2018

Il mio amico Nicola



Secondo la formula classica, siamo ormai sotto Natale e infatti il Natale ci domina con le sue pubblicità di profumi e gioielli, i suoi addobbi cittadini, la frenetica ricerca di regali sempre più tecnologici e una generica celebrazione dell'inutile e del superfluo, con la rassicurante scusa che tutto questo «fa bene all'economia». È quindi normale che sulle pagine Facebook di molti miei amici nord ed est europei ricominci ad apparire Babbo Natale, ovvero San Nicola, Sankt Nikolaus, Saint Nicholas, Sveti Nikolaj, Sint Nicolaas, Άγιος Νικόλαος, o magari Šventasis Mikalojus, da noi meglio noto come omonimo di quel Nicola di Bari la cui interpretazione di Piangerò al Cantagiro del 1965 costituì uno dei momenti più alti della creatività nostrana (se sei troppo giovane per ricordartene o anche solo per sapere cos'era il Cantagiro fidati di me).

San Nicola di Bari, dunque. Che con Bari non c'entrava assolutamente niente fino a quel giorno del 1087 in cui 62 marinai pugliesi non ne rubarono le ossa da una chiesa ortodossa di Myra, città che durante la vita del Nostro faceva parte della lega licia, nel sud-ovest della Turchia. Più tardi, seguendo la grande tradizione cattolica di furti feticisti, metà del suo scheletro fu peraltro rubato ai baresi dai veneziani, ma non importa. Ciò che importa è che con tutti i fanatici guerrafondai che si misero a passare da Bari all'epoca delle crociate, San Nicola diventò sempre più popolare, fino a diventare patrono della Lorena e di Amsterdam e a soppiantare nientepopodimeno che Dio stesso presso le popolazioni nenezie della Jamalia e della Nenezia, che lo chiamano Mikkulai. Per i miei due o tre lettori che ignorassero cosa siano la Jamalia e la Nenezia, ricordo che i due territori si trovano al nord degli Urali, appena a ovest del Krasnojarsk o, se preferisci, a nord del Chantia-Mansia.

Ma dopo questo sfoggio di cultura geografico-wikipediana, torniamo all'amico Nicola e in particolare alle sue abitudini natalizie.

Non faccio per vantarmi, ma io San Nicola l'ho incontrato personalmente di persona. Mo' ti racconto. Per uno di quegli strani impulsi che spingono talvolta noi umani a compiere atti sconsiderati, una quindicina di anni fai qualcuno mi invitò a partecipare a un festival teatrale nella ridente, ma mica tanto, cittadina di Rovaniemi. Il mio primo impulso alla ricezione della mail di invito fu naturalmente di guardare su Wikipedia dove cacchio si trovasse quel posto dal nome forse indonesiano, ma chissà – vai a sapere – forse basco o amazzone. È così che scoprii che Rovaniemi altro non è che la capitale della Lapponia finlandese, anche se quelli che noi chiamamo lapponi e che in realtà si chiamano sami la chiamano Sápmi. Ora, sapendo noi tutti che il circolo polare artico si trova a 66°33'39'' di latitudine nord, grande fu la mia sorpresa vedendo che Rovaniemi si trova a 66°30'08''!

Perbacco – mi dissi ma quella differenza di 3' e 31'' indica chiaramente che quel posto è a meno di 10 chilometri a sud del circolo polare!

E infatti così è. Ciò che ignoravo era che proprio a cavallo (si fa per dire) del circolo polare i rovaniemesi avessero messo su il Joulupukin Pajakilä, ovvero il villaggio di quel Santa Claus che altri non è che il nostro amico San Nicola di Bari, Venezia e Myra. E gli organizzatori del festival mi ci hanno portato.

Non ti sorprenderà sapere che il luogo assomiglia molto più a un centro commerciale che a un villaggio lappone. Forse ciò che ti sorprenderà è invece che circolo polare in finlandese si dica napapiiri e soprattutto che la marca Napapijri, sui prodotti della quale appare sempre una bandiera chissà perché norvegese, sia stata fondata alla fine degli anni '80 dall'italianissima ancorché valdostana Signora Giuliana Rosset, che nel 2005 la vendette poi all'americana Vf Corporation. Ma smettiamo di divagare a torniamo a Santa Claus.

Dopo avere vagato per un po' per la vasta zona commerciale dove era possibile acquistare (pochi) oggetti dell'artigianato lappone e (tantissimi) maglioni, pigiama, ciabatte, bicchieri, bottiglie, pile (nel senso di pail), piatti, magliette e quant'altro con l'effigie di Babbo Natale, giunse il momento di fare la sua conoscenza. Con un gruppetto di una dozzina di colleghi entrammo nella sua casa. Prima di tutto attraversammo un lungo corridoio lungo il quale si trovavano tutta una serie di enormi ingranaggi e ruote dentate in legno che giravano provocando rumori inquietanti. Chiesi la ragione di quello strano armamentario e mi fu spiegato che siccome secondo la tradizione locale durante la notte di Natale Santa Claus ha l'obbligo di fare visita a tutte le case del mondo, rallenta il movimento della Terra agendo su quegli ingranaggi, in modo che la notte duri più a lungo. Attendemmo alcuni minuti davanti a una porta chiusa a lato della quale c'era una luce rossa, poi quando la luce diventò verde potemmo entrare in un enorme stanzone nel quale, attorniato da centinaia di pacchi e pacchetti infiocchettati, stava seduto il Santo. A rischio di deluderti, devo dirti che non portava il costume rosso inventato dal disegnatore statunitense Thomas Nast nel 1862 per il settimanale Harper's Weekly e ripreso nel 1931 da Haddon Sundblom per una pubblicità della Coca-Cola, bensì quello più dimesso di un cacciatore finlandese. Per nostra fortuna parlava inglese, il che ci permise di scambiare qualche banalità sulla pace nel mondo e sul mestiere del marionettista che, come tutti sappiamo, offre abbondanti dosi di felicità ai pargoli dei cinque continenti. È solo all'uscita che, vedendo sui muri di un altro corridoio le foto nelle quali apparivamo in compagnia del vecchio barbuto, foto in vendita a 25€ l'una, ci rendemmo conto di quale fosse stata la vera finalità di quella conversazione che si era protratta al di là del ragionevole.

In questa stagione il vicino aeroporto funziona al limite delle sue capacità a causa dei numerosi charter provenienti da vari Paesi d'Europa, ma anche da Israele e dal Giappone (!), che arrivano carichi di turisti desiderosi di vivere un'esperienza come la mia, dormendo magari all'hotel Santa Claus Holiday Village e gustando una bistecca di renna in uno dei ristoranti di Rovaniemi. Tanto per darti un'idea, l'anno scorso l'aeroporto ha accolto quasi 600.000 viaggiatori. Il che la dice lunga sullo stato delle connessioni neuronali della razza umana, ma non importa.

Certo di avere fatto cosa gradita mettendo a tua disposizioine tutte queste preziose informazioni, mo' vado alla Coop a comprarmi un panettone.



P.S. Come sempre, è solo dopo avere scritto questo post che ho cercato un'immagine per illustrarlo. Mi sono così accorto con sconcerto che ormai anche al mio amico di Rovaniemi è stato affibiato un ridicolo copricapo rosso con un informe gilet dello stesso colore. O tempora! O mores!

mercoledì 5 dicembre 2018

La lettera su Dio di Einstein



I giornali di questa mattina parlano della vendita all'asta di una lettera manoscritta di Albert Einstein per 2 milioni e 892.500 dollari. Lasciamo perdere il fatto che lo stesso documento fosse stato venduto nove anni fa per 400.000 dollari e che gli esperti gli avessero recentemente attribuito un valore tra il milione e il milione e mezzo. Sono solo le solite fesserie da miliardari.
Ciò che mi interessa è che la lettera è nota come lettera su Dio. Einstein la scrisse il 3 gennaio del '54 a Eric Gutkind, filosofo ebreo che aveva lasciato la Germania nel '33. Due anni prima, Gutkind aveva pubblicato Choose Life: The Biblical Call to Revolt. Il libro era stato consigliato a Einstein dal matematico e filosofo olandese L.E.J. Brouwer.
L'articolo che ho letto questa mattina mi ha dato voglia di rileggere quel breve scritto che già conoscevo, ma cercando su internet non ho trovato nessuna traduzione integrale in italiano. Non conoscendo il tedesco, sono partito da una traduzione inglese (macchinosa) e da una francese (assai libera) per farne una italiana. Ho mantenuto la punteggiatura di Einstein – visibile su una foto del manoscritto – e il suo stile un po' complesso, soprattutto nel primo capoverso.
Inutile precisare che se te ne propongo la lettura è perché mi trovo essenzialmente d'accordo sul contenuto.

Princeton, 3 Gennaio 1954 
 
Caro Signor Gutkind!

Ispirato dai continui consigli di Brouwer ho letto gran parte del suo libro in questi ultimi giorni e la ringrazio di avermelo mandato. Ecco le cose che mi hanno particolarmente colpito. Riguardo al nostro modo di vedere la vita e la società umana siamo molto simili: un ideale che va al di là del personale che si batte per la libertà dai desideri individuali, si batte per fare dell'esistenza qualcosa di più bello e più ricco, con un'enfasi sul puramente umano, dove le cose inanimate sono viste solo come mezzi ai quali non si dovrebbe dare un ruolo dominante. (È in particolare questo modo che ci trova d'accordo su una vera “attitudine non-americana”)
Detto questo, se non fosse stato per l'incoraggiamento di Brouwer, non avrei mai pensato di immergermi nel suo libro, che è scritto in un linguaggio a me inaccessibile. Per me, la parola Dio non è altro che l'espressione e il prodotto delle debolezze umane, la Bibbia una raccolta di leggende onorevoli ma estremamente primitive. Non c'è interpretazione, per quanto acuta, che possa cambiare le cose (per me). Queste interpretazioni rarefatte sono per natura estremamente variegate e non sono quasi mai in relazione con il testo originale. Per me, l'autentica religione ebraica, come tutte le religioni, è l'incarnazione di una superstizione primitiva. E il popolo ebreo, del quale sono felice di fare parte e alla cui mentalità mi sento ancorato, non ha nessuna dignità diversa da quelle di altri popoli. Nella mia esperienza, non è nemmeno migliore di altri gruppi umani, anche se è protetto dai peggiori eccessi da una mancanza di potere. In altri termini non vedo niente di “eletto” in lui.
In generale mi addolora che lei reclami una posizione privilegiata e cerchi di difenderla attraverso due muri d'orgoglio, uno esterno come essere umano e uno interno come ebreo. Come umano lei reclama almeno in parte una dispensa dalla casualità generalmente accettata, come ebreo un privilegio monoteista. Ma una causalità limitata non è più una causalità, come il nostro meraviglioso Spinoza fu il primo a riconoscere in maniera incisiva. E l'idea animista di religioni naturali non è, per principio, resa nulla dal monopolio. Questi muri ci porteranno solo a un certo auto-imbroglio; ma i nostri sforzi morali non ne sono rafforzati. Piuttosto il contrario.
Ora che ho esposto apertamente le nostre differenze intellettuali, per me resta chiaro che siamo vicini l'uno all'altro nell'essenziale, cioè nella valutazione del comportamento umano. Ciò che ci separa è solo patina intellettuale o “razionalizzazione” in linguaggio freudiano.

Con i miei ringraziamenti e i miei saluti,
Suo,
Albert Einstein


giovedì 1 novembre 2018

13,7 miliardi di anni di storia



13,7 miliardi di anni fa, nascita dell'universo; tra 10,1 e 6,5 miliardi di anni fa, formazione della Via Lattea; 4,57 miliardi di anni fa, formazione del Sole; 4,54 miliardi di anni fa, formazione della Terra; 3,5 miliardi di anni fa, nascita dei primi batteri; 4,533 milioni di anni fa, formazione della Luna; 750 milioni di anni fa, inizio della separazione dei continenti 500 milioni di anni fa, nascita dei primi pesci; 450 milioni di anni fa, prima glaciazione e prima estinzione perisce l'85% delle specie viventi; 375 milioni di anni fa, seconda glaciazione e seconda estinzione perisce l'82% delle specie viventi; 300 milioni di anni fa, nascita dei primi rettili; 250 milioni di anni fa, terza glaciazione e terza estinzione perisce il 96% delle specie viventi; 240 milioni di anni fa, nascita dei primi uccelli; 200 milioni di anni fa, quarta glaciazione e quarta estinzione perisce il 76% delle specie viventi; 200 milioni di anni fa, nascita dei primi mammiferi 65 milioni di anni fa, quinta estinzione periscono i dinosauri e il 75% delle specie viventi; 55 milioni di anni fa, nascita dei primi primati; 2,4 milioni di anni fa, Homo habilis; 1,8 milioni di anni fa, Homo erectus; 450.000 anni fa, Homo neanderthalensis; tra 300.000 e 200.000 anni fa, Homo sapiens; 70.000 anni fa, Homo sapiens esce dall'Africa; 65.000 anni fa, Homo sapiens arriva in Australia; 50.000 anni fa, controllo del fuoco; 15.000 anni fa, Homo sapiens arriva in America; 11.500 anni fa, nascita dell'agricoltura, Homo sapiens si sedentarizza; 5.200 anni fa, rivoluzione cognitiva, invenzione della scrittura; ● da 5.100 a 2.040 anni fa, impero egiziano; 3.750 anni fa, prime leggi scritte codice di Hammurabi; 3.600 anni fa, prima monarchia costituzionale - Ittiti 3.500 anni fa, nascita dell'induismo; 3.200 anni fa, nascita della filosofia, in India; da 3.200 a 650 anni fa, impero mongolo dalla Mongolia all'Adriatico; 3.000 anni fa, nascita dell'ebraismo; 2.700 anni fa, prime monete; 2.600 anni fa, nascita della filosofia greca, della democrazia e del buddhismo; da 2.240 a 106 anni fa, impero cinese; da 2.070 a 740 anni fa, impero Chola India del Sud, Indonesia, Sud-Est asiatico; da 2.045 a 1.623 anni fa, impero romano  2.000 anni fa, nascita del cristianesimo; da 1852 a 1542 anni fa, invasioni barbariche dell'Europa; da 1.843 a 1.738 anni fa, Guerra dei Tre Regni, la più sanguinosa della storia in proporzione alla popolazione mondiale; 1560 anni fa, introduzione dello zero in un sistema di numerazione posizionale - Lokavibhaga, India ● da 1542 a 526 anni fa, Medioevo europeo; da 1.700 a 950 anni fa, impero del Ghana; 1.400 anni fa, nascita dell'Islam; da 1260 a 760 anni fa, califfato di Baghdad; ● 1212 anni fa, prime banconote imperatore Xian Zong, dinastia Tang; 977 anni fa il cinese Bi Sheng inventa la stampa a caratteri mobili (in terracotta); 958 anni fa, primo testo scritto in italiano Placito cassinese; 900 anni fa, invenzione in Cina della prima arma da fuoco;da 780 a 370 anni fa, impero del Mali; da 650 a 450 anni fa, Rinascimento europeo; 550 anni fa, rivoluzione scientifica; 525 anni fa, inizio della colonizzazione europea di America, Africa, Asia e Oceania; 500 anni fa, nascita del capitalismo in Inghilterra; da 500 a 45 anni fa, era coloniale; da 300 a 180 anni fa, tratta degli schiavi; 230 anni fa, dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; da 258 a 188 anni fa, prima rivoluzione industriale in Inghilterra; ● 148 anni fa, seconda rivoluzione industriale; 101 anni fa, prima rivoluzione comunista; da 100 anni fa a oggi, teoria della relatività generale e fisica quantistica; 50 anni fa, rivoluzione informatica; da 40 anni fa a oggi, internet.

mercoledì 24 ottobre 2018

Scrivere a mano



    Da tre settimane sto scrivendo come un matto, anche sei o otto ore al giorno. Erano alcuni anni che avevo in cantiere un libro, ma non riuscivo a finirlo. Sapevo di averne scritto non più di un terzo, ma non ce la facevo ad andare avanti. In settembre sono andato a fare una piccola tournée negli Stati Uniti e in Canada con il mio racconto sulla fisica. Mentre ero là ho letto l'autobiografia dell'attore americano Alan Alda e la lettura di quel libro, combinata con lo stato di eccitazione e di felicità nel quale quella piccola tournée mi aveva messo, ha provocato un clic inatteso. E mi sono rimesso a scrivere.
    Da anni ormai scrivevo solo al computer e mi ero convinto che quel modo di scrivere fosse ottimale, anche più creativo della scrittura a mano. Il fatto di poter correggere immediatamente il testo, di poterne tagliare paragrafi interi e aggiungerne altri con qualche clic sulla tastiera non mi sembrava solo un modo più rapido di comporre un testo, mi dava anche l'impressione di una maggiore libertà.
    Poi a New York mi sono comprato alcune matite, delle Palomino Blackwing e delle Blackwing 602 (vedi il mio precedente post) e quando mi è venuta voglia di mettermi a scrivere l'ho fatto a matita. In casa avevo un quaderno cartonato con le pagine bianche, senza righe, che mi era stato regalato alcuni anni fa quando avevo partecipato a un festival a Rotterdam. L'ho preso e ho incominciato a scrivere. Che l'abbia fatto a matita non importa. In realtà amo le penne stilografiche. Ne possiedo tre: una Montblanc Classica che mi ero comprato il giorno del mio primo divorzio, una Meisterstuck Le Grand che mi è stata regalata dalla mia seconda ex-suocera e una Pelikan M120N, esatta riproduzione di quella che avevo alle medie, trovata su internet un paio di anni fa. Nonostante abbia sempre amato scrivere con una penna, ormai con quelle tre scrivevo solo le lista della spesa e qualche rarissima lettera.
    La Palomino mi ha attirato per il mito che la circonda. È la matita con la quale Steinbeck e Kerouac hanno scritto i loro romanzi e Bernstein e Quincy Jones le loro musiche. Così ho voluto provarla. Mi sono subito reso conto che preferivo la 602 a quella senza numero, che è troppo morbida. In tre settimane ne ho già consumate tre.
    Ma la cosa che mi ha davvero sorpreso è come la scrittura cambi scrivendo a mano. Sarà perché al computer scrivo con due dita, usandone un paio d'altre solo per inserire degli spazi e andare a capo, ma fin dai primi giorni ho avuto l'impressione di scrivere più rapidamente. Il che ovviamente non è vero. Ciò che succede in realtà è che scrivendo a mano ti passano per la testa più cose ed è quell'affollarsi di pensieri che ti dà l'impressione di una maggiore velocità.
    Come indicato in uno studio di Pam. A. Mueller, docente di psicologia sociale a Princeton, e Daniel M. Oppenheimer, suo collega dell'UCLA (University of California, Los Angeles) (The Pen is Mightier Than the Keyboard: Advantages of Longhand Over Laptop Note Taking) scrivere a mano fa entrare in gioco funzioni del cervello che restano assopite scrivendo su una tastiera. Osservando due gruppi di studenti che prendevano note durante gli stessi corsi universitari, i due studiosi hanno notato che quelli che scrivevano a mano imparavano di più e meglio degli altri, anche se in realtà scrivevano un numero inferiore di parole. O piuttosto proprio perché scrivevano meno parole. Mentre quelli che scrivevano su un computer riuscivano a scrivere verbatim, il processo di scrittura manuale permetteva — o obbligava — gli altri a elaborare delle sintesi che non lasciavano spazio alle cose superflue. In altre parole, mentre i primi si limitavano a trascrivere meccanicamente ciò che ascoltavano, i secondi mettevano in atto un processo creativo di sintesi che era già di per sé parte integrante dell'apprendimento.
    Ritrovare uno strumento di scrittura manuale per comporre un testo coerente invece di una semplice lista della spesa è stata una sorpresa che mi ha permesso anche di riscoprire un secondo processo creativo, che entra in gioco quando ricopio il testo al computer. In quei momenti, quando rileggo e imparo a memoria, anche se solo per i pochi istanti della trascrizione, una frase intera, mi rendo conto di tutta una serie di errori e imprecisioni che mi sfuggono quando scrivo direttamente al computer.
    Lo studio di Mueller e Oppenheimer sostiene anche che più grande è il processo di codificazione del l'informazione, maggiori sono i benefici per l'apprendimento. Nella mia breve esperienza trisettimanale ho notato che scrivere a mano e poi trascrivere al computer mi porta a produrre frasi più chiare e più armoniose. Non so quanto questo dipenda dal fatto di scrivere a mano e quanto dalla trascrizione al computer, credo un po' da entrambe le cose. Il risultato mi sembra comunque più soddisfacente di quello ottenuto muovendo le dita su una tastiera.
    Ormai nella maggior parte delle scuole elementari degli Stati Uniti imparare a scrivere a mano in lettere minuscole non è nemmeno più obbligatorio e molti americani sanno scrivere solo in stampatello. Il che è una cosa molto diversa perché non permette di vedere le parole come blocchi aventi ognuno un senso compiuto, ma come semplici sequenze di lettere, un po' come quando scrivi al computer.
    Se trovi tutto questo un po' passatista e nostalgico posso dirti solo una cosa: la prossima volta che avrai qualche pagina da scrivere prova a farlo a mano e vedrai la differenza. Poi magari fammi sapere.

lunedì 24 settembre 2018

Ti scrivo dal mio ufficio



Ciao.
Ti scrivo dal mio ufficio. Se vuoi, puoi passare a salutarmi. L'indirizzo è 31 Caroline Street North, Waterloo, Ontario - Canada N2L 2Y5. Semplice, no? Quando arrivi non lasciarti intimidire dalla scritta in lettere di bronzo sopra la porta d'ingresso:
Come tutti sappiamo vuole semplicemente dire che nessuno che non si interessi alla geometria entri qui
So già cosa obietterai con la tua aria da saputello, mi dirai che quella citazione è sbagliata, che la scritta che appariva sopra la porta d'ingresso dell'Accademia di Platone diceva in realtà che nessuno non portato per la geometria entri qui. Ma così dicendo avrai solo perso un'altra occasione di tacere, visto che la sostituzione di nessuno che non si interessi alla geometria con nessuno non portato per la geometria è voluta. Voluta da chi? Dai fondatori del Perimeter Institute, che, come lo spiega una scritta all'interno della porta, ci tenevano a far sapere che il loro lavoro lo svolgono per condividere la gioia delle loro scoperte con l'insieme della comunità.
Già, perché è qui che mi trovo, al Perimeter Institute for Physical Research di Waterloo, nell'Ontario, un centro di ricerca sulla fisica quantistica tra i più importanti al mondo. E mi hanno dato un ufficio tutto per me, il 267, al secondo piano — che per noi sarebbe il primo, ma non importa — anche se starò qui solo quattro giorni e anche se sono solo un guitto itinerante. Questi fisici sono pazzi.
Ma anche molto gentili, tant'è che quello che mi ha preceduto in questo stesso ufficio, usato solitamente dai fisici di passaggio, mi ha lasciato sulla lavagna tutta una serie di equazioni, sperando forse che le avrei risolte per il bene comune. Mmmhhh…
Tanto per darti un'ulteriore idea di quanto i fisici siano pazzi, se sono qui lo devo alla splendida Krista Blake, che svolge ufficialmente il compito di Catalizzatrice delle arti, della cultura e dell'immaginazione. Insisto: non è che sia lei che dice che quello è ciò che fa di mestiere, è proprio il suo titolo ufficiale: Catalyst of the Arts, Culture and the Imagination. Te lo immagini un titolo così in un'università nostrana?
Questa mia piccola tournée nordamericana, con tre date, due in altrettanti college dello Stato di New York e una qui in Canada, più che un sogno è una cosa che non avrei mai nemmeno osato sognare quando, più di dieci anni fa, mi è venuta l'idea di lavorare a un racconto sulla fisica. Già fare la prima dello spettacolo in occasione del festival della scienza di Genova era stato eccitante, ma qui, più che un bambino in un negozio di caramelle mi sento come un bambino al quale il negozio di caramelle l'hanno regalato. E più che un negozio è tutto un  centro commerciale ed è pieno solo di caramelle.
Ed eccomi qui, seduto a scrivere, con fuori dalla finestra il laghetto del Waterloo Park, mentre dal computer, piano, per non disturbare i vicini, escono le note del bellissimo CD del 2013 Hagar's Song, di Charles Llloyd e Jason Moran. 
Mi viene voglia di starmene qui a non far niente, solo a godermi questi momenti. Oltretutto il pass che ho in tasca mi dà accesso al Perimeter giorno e notte, quindi mi sa che stanotte dormirò qui, per terra. Ma forse prima andrò a comprarmi una grossa catena e mi legherò a non so bene cosa ma a qualcosa, perché io qui ci voglio restare per sempre, voglio mangiare tutti i giorni al Black Hole Bistro, il Caffè del buco nero, anche solo per le cose che quelli che lo gestiscono mettono su internet. In questo momento suggeriscono il rinfrescante sciroppo di menta in questi termini:
I neuroni incaricati di sentire il freddo emettono una proteina chiamata TRPM8. Quando questa proteina raffredda si apre come un portone e lascia entrare gli ioni presenti nell'aria dentro il neurone. Il cambiamento della carica elettrica all'interno del neurone e il messaggio “ricettori di freddo attivati!” viene mandato al cervello attraverso il sistema nervoso centrale.
Questa è biologia. Ma il fatto è che la TRPM8 non risponde solo al freddo. Risponde anche al mentolo, il composto cristallino presente nella menta e negli olii di menta. Perché il mentolo si aggrappi alla maniglia chimica della TRPM8 non lo sappiamo, ma una volta che la maniglia è girata la TRPM8 apre il cancello e i neutroni che rispondono al freddo vengono attivati.
Quei neutroni lanciano un solo tipo di messaggio e il risultato — straordinario — è che il sapore della menta è indistinguibile dalla sensazione di freddo. Urrà!
Cosa vuoi che ti dica, io in un caffè che si fa pubblicità in questi termini ho voglia di passarci altro che quattro giorni; settimane, mesi, anni. Quindi se capiti dalle parti di casa mia e ti viene voglia di suonare il campanello non stupirti se non ti rispondo. Sai dove sono.

venerdì 14 settembre 2018

Mai mi sarei aspettato questo nuovo amore



Non so se ti piace scrivere a mano. A me sì. Sopratutto con una stilografica, magari la bella Montblanc Meisterstück che la mia allora suocera mi regalò qualche anno fa, oppure la Pelikan M120 (a pennino largo) che mi sono comprato l'anno scorso e che è la replica esatta di quella che avevo alle elementari. Le carico con inchiostri inglesi, i Diamine (pronuncia dàiamin), che trovo nel negozietto della Casa della stilografica, in via Cavour, a Firenze, e che hanno bellissimi colori.
Ma ho voluto provare qualcosa di nuovo, anche se con una certa reticenza, visto che quello che avevo letto sulla Palomino Blackwing 602 mi sembrava davvero esagerato. Va bene, la usava Steinbeck, la usavano e usano Leonard Bernstein, John Williams e Quincy Jones, ma quelli sono musicisti… Cosa vuoi che ne sappiano delle penne?
Già, ma il fatto è che la Palomino Blackwing 602 non è una penna, è una matita.
Fu fabbricata dalla Eberhard Faber Pencil Company, che si trovava a New York, là dove oggi c'è il palazzo dell'ONU, dal 1934 all'88, poi dalla fabbrica americana della norimbergana Faber Castell dall'88 al '94 e in seguito dall'illinoisiana Stanford dal '94 al '98. Quell'anno, forse per protesta contro la nascita quasi contemporanea di Rihanna e di Adele, ma non ne sono sicuro, comunque non si sa, la Palomino sparì. Nel giro di un paio di lustri la si trovava solo a 40 o anche 50$ su ebay. Alcuni pezzi “antichi” raggiunsero i 100$. Vabbè…
Il 10 ottobre 2010, miracolo: come un volgare figlio di falegname palestinese e di madre vergine, ma grazie alla California Cedar Products, oggi Cal Cedar, la Palomino Blackwing 602 risorse. Alleluia!
Anzi no. Come direbbe il Commissario Montalbano: “Alleluia 'sta minchia!” La ragione? Semplice: come si era permesso Charles Berolzheimer, la cui famiglia fabbricava matite in Baviera da più di un secolo e che adesso possedeva la California Cedar Products, di “migliorare” la 602? Si può migliorare un quadro di Leonardo? Una scultura di Michelangelo? Un'opera di Verdi? Siamo seri... E infatti i fan protestarono vigorosamente.
Basterà ricordare che il corpo della matita da grigio diventò nero lucido (!); che la gomma fissata all'estremità da rosa diventò bianca (!!); che la formula della grafite fu modificata (!!!). Basta capire queste cose per non trattenere un urlo disumano. Agggrrrrhhh!!!
Ma poco per volta le cose cambiarono e i puristi si calmarono, forse anche perché la gomma ridiventò rosa, ma non ne sono sicuro, comunque non si sa.
Ciò che si sa per certo — anche se, diciamo la verità, lo sanno in pochi e se lo so io è perché c'ero — è che questa mattina, verso le 11 e 40, ora della East Coast, io sottoscritto qui presente e scrivente sono entrato nel negozio CW Pencils, sito al numero civico 15 di Orchard street, nel cuore di quel Lower East Side un tempo chiamato Kleindeutschland (che è un po' come dire Little Italy, ma in tedesco) prima di diventare un'enclave ebrea e poi latina, per finire, come tutto il sud di Manhattan, per trasformarsi in via chic, e mi sono comprato non solo una Palomino Blackwing 602, ma pure un temperino metallico sfavillante che sembra d'oro massiccio e (ma ciò che sto per scrivere merita una e maiuscola, magari pure in grassetto, quindi) E un point guard anche lui sfavillante, che ti spiego subito se mai non lo sapessi che un point guard è un cappuccio metallico protettivo nel quale infilare la punta della matita e che ti evita che la stessa punta si spezzi se metti la matita non so bene dove, ma comunque là dove le punte delle matite rischiano di spezzarsi.
Fatto questo, sono andato a sedermi in una di quelle tristi mescite che da queste parti chiamano café con una f sola e l'accento sbagliato, ho estratto dallo zaino la Palomino Blackwing 602 e il suo sfavillante temperino, le ho fatto una punta che più bella non si poteva, ho estratto — sempre dallo zaino — il piccolo carnet di marca Legami e di colore azzurro (un po' troppo azzurro a mio gusto, ma vabbè…) al quale ho permesso di sorvolare l'oceano in mia compagnia, l'ho aperto e, pur con una certa reticenza iniziale, ho scritto questa frase: “Vediamo come scrive questa Palomino Blackwing. Urca! Ma scrive proprio bene! Molto, molto bene! Ma è incredibile! Non ha niente a che vedere con le matite “normali.” Urca urca urca!!! Ma pensa tè!!!”
Poi mi sono messo a ululare come un volgare licantropo fino all'arrivo della polizia.
Adesso è notte. Sono in una cella del 5th Precint, in compagnia di uno spacciatore di Medellín e di un'attempata prostituta, nonché ex-maestra di asilo, originaria del Kansas. Circa un'ora fa un tenente mi ha detto che se la smettevo di ululare domattina mi avrebbe lasciato uscire. Allora ho smesso. Con fatica, ma ho smesso.
Meno male, così potrò andarmi a comprare una dozzina supplementare di Palomino Blackwing 602. O magari due dozzine, non ne sono sicuro, comunque non so, vedrò sul posto.
Chi l'avrebbe mai detto che questo nuovo e inatteso amore mi avrebbe sconvolto la vita? Urca urca urca! Che bello che bello che bello!
Come forse non l'avrebbe mai urlato ai quattro venti Søren Kierkegaard, che già era uno che non urlava molto — figuriamoci poi ai quattro venti… — ma come l'avrebbe di sicuro zirlato Dean Martin, al secolo Dino Paul Crocetti, that's amore (tippy-tippy-tay, tippy-tippy-tay).
Ahuuuuuuuu!