domenica 11 giugno 2017

Un incontro, 15 anni fa

Arundhati Roy
Stamattina ho letto un'intervista ad Arundhati Roy, l'autrice del "Dio delle piccole cose." È appena uscito il suo secondo romanzo, "Il ministero della suprema felicità."
Ricordi.
Gennaio 2002. Sono a Delhi. Quattro mesi prima ho deciso di fare uno spettacolo sul Mahabharata. L'ho deciso d'impulso, sulla base del ricordo della versione di Peter Brook, che avevo visto 16 anni fa, e di tre viaggi in India. Ero in una libreria, ad Avignone. Su uno scaffale ho visto un Mahabharata (la versione molto condensata e abbastanza brutta di Jean-Claude Carrière) e ho deciso.
In realtà non ho mai deciso di fare nessuno spettacolo. Ho sempre aspettato ed è sempre arrivato un momento nel quale il desiderio di fare un determinato spettacolo si è presentato come un'evidenza. Chiamala ispirazione, se vuoi. A me quella parola sembra un po' grossa.
Seconda decisione: cercare qualcuno che mi darà una mano a farmi strada in quelle diecimila pagine di testo. Arundhati Roy. Ne parlo ad alcuni amici. Uno mi dice che la figlia di un suo conoscente ha sposato un cineasta indiano. Mi trova la sua email. Scrivo. Un paio di settimane dopo ricevo l'email e il numero di telefono di Arundhati Roy. Le scrivo. Nessuna risposta. la chiamo, mi risponde una segretaria. Nessun seguito. Parto per l'India.
Mia figlia Nora vive a Delhi, vicino al Chor Minar, la torre dei ladri, dove nel '400 venivano esposte le teste dei ladri decapitati. Da lì in meno di mezz'ora a piedi si arriva a uno dei miei posti preferiti della città, il quartierino di Haus Khas, che non è ancora il posto chic e alla moda che diventerà più tardi.
Chiamo più volte Arundhati Roy. Mi risponde la segretaria, oppure il marito. Quello è un momento complicato per lei, è sotto processo per avere detto che la Corte Suprema indiana ha mostrato una "inquietante inclinazione" verso l'insabbiamento di ogni critica e di ogni dissenso. Rischia grosso. Il processo si svolge proprio in quei giorni. Impossibile vederla. Con rammarico, ci metto una pietra sopra. Leggo sul giornale che è stata condannata a un giorno simbolico di prigione e a 2500 rupie di multa.
Un pomeriggio, con mia figlia, andiamo a prenderci un caffè a Defence Colony. Entriamo in un Barista, caffè che fa parte di una catena che sarà più tardi comprata dalla Lavazza. Benché ami il tè indiano, ogni tanto un caffè ci vuole. Ci sediamo a un tavolino. Passa un quarto d'ora ed entra una coppia. Una donna molto bella, sui 40 anni, accompagnata da un uomo più giovane. Si siedono un po' più in là. Guardo la donna, trovo che assomigli in modo stupefacente ad Arundhati Roy. Lo faccio notare a Nora, che si gira e trova anche lei la somiglianza stupefacente. Capiamo che non è una somiglianza, è proprio lei, lei che ho cercato invano di contattare per settimane.
Mi alzo, vado al suo tavolo, le spiego che vorrei parlarle, le chiedo un appuntamento. Mi dice di tornare lì l'indomani, alla stessa ora.
La notte non riesco a dormire. Quante probabilità c'erano di incontrare proprio lei in una città di 13 milioni di abitanti (oggi più di 16)? Possibile che sia davvero un segno del destino?
L'indomani, con Nora, arriviamo in anticipo. Dopo un po' lei arriva. Prende un cappuccino. Le spiego il mio progetto, le spiego perché vorrei lavorare con lei, le dico che so che non è induista (sua madre è una cristiana siriaca del Kerala), ma non voglio fare uno spettacolo sull'induismo, ma sull'India. È stupita. A capo del governo in quel momento c'è Atal Bihari Vajpayee, un conservatore, membro del BJP, il Bharatyia Janata Party, Partito del Popolo Indiano, che usa e abusa del Mahabharata per la sua propaganda induista, a scapito delle minoranze musulmana, buddista, jain e tutte le altre. Diffondere ancora di più il Mahabharata in quel momento le sembra un controsenso, un favore fatto agli ultranazionalisti del governo.
In realtà mi accorgo che le interessa molto più parlare con Nora che con me, capire perché una ragazza occidentale se n'è venuta a vivere con un indiano del Punjab, sapere come lui la tratta, come lei si sente. E comunque mi dice che anche se volesse non avrebbe tempo, che deve assolutamente finire il suo secondo romanzo.
Dietro il suo sguardo dolce e la sua bellezza folgorante sento una determinazione d'acciaio. Il mio sogno svanisce.
Più tardi succederanno altre cose, altri incontri, lo spettacolo lo farò lo stesso, nell'estate del 2003, con delle bellissime marionette fabbricate da Enrico Baj, che purtroppo morirà un mese prima della prima rappresentazione. Lo porterò in giro in Italia, in Francia, in altri paesi d'Europa, in Africa e persino in India.
Certo, resta il rammarico di non avere potuto lavorare con lei. Ma resta soprattutto il ricordo di un incontro intenso, raro e profondo. Il ricordo di una donna che in qualche strano modo mi ha comunque accompagnato durante tutte le prove e tutte le rappresentazioni. E di questo le sono estremamente riconoscente.
Adesso che il secondo romanzo l'ha finalmente scritto me lo leggerò con piacere e sono sicuro che leggendolo avrò l'impressione di risentire la sua voce.