domenica 16 ottobre 2011

Caro "nero"



Caro “nero”,
lo so, è un modo strano di incominciare una lettera. Caro non mi sei, lo ammetto. Quanto a “nero”, vorrei poterti dare un nome, ma il fatto è che quel nome tu me lo rifiuti, affermandoti solo come un anonimo appartenente a un gruppo che ha scelto quel colore per farsi riconoscere. Non te ne voglio: a tutti noi, in alcuni momenti della vita, è necessario apparire, a noi stessi e agli altri, come anonimi appartenenti a un gruppo. In quell'anonimato scelto troviamo non solo forza, ma anche giustificazione ad atti e pensieri che, fossimo soltanto quel che siamo, fossimo solo un Carlo, un Marco, un Giovanni qualsiasi, avremmo difficoltà ad assumere.
Allora, sì: caro “nero”. Stamattina, insieme ad altri, sei sulle prime pagine di tutti i giornali. Se è questo che volevi ieri, sradicando segnali stradali, urlando, lanciando sanpietrini, rompendo vetrine e trasformando una manifestazione pacifica in guerriglia urbana, allora hai vinto. Ma non sono sicuro che fosse questo che volevi. Non ne sono sicuro perché non riesco a credere che tu sia tanto stupido da immaginare che ci sia qualcosa di importante nel finire sulle prime pagine dei giornali.
Se invece volevi qualcos'altro, se volevi indicare la strada da seguire a tutti quelli che consideri pecore consenzienti che avanzano silenziose verso il macello, se volevi sacrificarti, sacrificando la tua umanità, per far nascere una rivolta che consideri indispensabile per venir fuori da una situazione sempre più insopportabile per sempre più gente, allora non posso che dirti che hai perso.
Ho letto i giornali stamattina. Ci ho trovato tutta una serie di piccoli dettagli e aneddoti che cercavano di raccontarmi le tue gesta. Ho letto frasi pronunciate da te e da altri come te che mi hanno dato i brividi. Ho visto immagini, filmate da telefonini e telecamere, che mi hanno ghiacciato il sangue. Ho respirato un odio che mi ha avvilito, come uomo. Ho cercato invano un'idea, un'ideologia, un sogno: non li ho trovati.
Disperazione, questa sì, l'ho vista. Ma una disperazione tetra, oscura, arrogante. Non la disperazione di chi non ha nulla, ma quella di chi vi trova, in quella disperazione, una ragione per negare ogni possibilità di speranza, a sé e agli altri.
Non ho visto un combattimento. Si combatte per vincere, non per perdere. E anche quando si combatte sapendo che si perderà, perfino che si morirà, lo si fa perché si crede che, morendo, si permetterà ad altri di vincere. Ma il tuo non è stato un combattimento: solo un abbandonarsi all'adrenalina, un gioco perverso e funesto all'insegna di un'idea terribile: me ne frego. Me ne frego del futuro, me ne frego della vita, me ne frego degli altri, me ne frego della giustizia e della dignità, me ne frego. Probabilmente sai che quel “me ne frego” era uno slogan caro al fascismo e lontano anni luce da quegli altri lanciatori di sassi a cui tu vorresti assomigliare portando pateticamente attorno al collo un foulard che appartiene a un'altra storia, a un altro mondo. Ma non basta indossare un foulard per trasformare un vomito di odio in intifada.
Non so chi tu sia, da dove tu venga. Immagino che tu sia molte storie e molti posti e mi chiedo allora cosa ti faccia stare lì con altri come te, cosa ti accomuni a loro, cosa unisca la tua disperazione a quelle altre disperazioni. Non sono uno specialista e ammetto senza difficoltà non solo di non sapere, ma anche di non capire. Vedo documenti pubblicati su internet nei quali si inneggia pari pari all'anarcoindividualismo, a Che Guevara, a Ezra Pound, all'intifada, a Tolkien, a Peppino Impastato, in una specie di vortice, adrenalinico anche lui, nel quale vengono a morire, come stelle dentro un buco nero, idee e speranze di uomini e donne che nulla accomuna. Ho trovato un sito, il cui fondo verde chiaro è tapezzato di foglie di marijuana, in cui si parla di un tale Colin Clyde, un ventiduenne arrestato durante gli scontri di Seattle, nel 1999, che, portato in tribunale, disse al giudice “Prima di noi la protesta era terribilmente noiosa”. È davvero questo che c'è dietro? La noia?
E, visto che ti ho appena fatto una domanda, permettimi di fartene qualche altra. Come mai vedo così poche donne nel tuo gruppo? Non sarai ancora di quelli che pensano che le donne stanno meglio a casa? E ancora: come mai ti ostini a buttar giù vetrine di negozi e di banche, che da quel che capisco vedi come simboli del capitalismo e della globalizzazione, invece di prendertela direttamente con i meccanismi del capitalismo e della globalizzazione? Non posso credere che tu pensi veramente che sia spaccando qualche vetrina e qualche banca che potrai dare un colpo mortale al nemico... No, è ovvio: ti attacchi a qualche piccolo simbolo perché il tuo è un agire simbolico, è un segno, un simbolo, tutt'al più un invito ad altri a fare lo stesso. Ma anche se altri si mettessero a rompere vetrine e a saccheggiare qualche calzoleria o qualche negozio di computer, credi davvero che questo potrebbe scatenare una reazione a catena e cambiare la storia del mondo? Neanche questo riesco a crederlo.
Credo al terrore, questo sì. Lo destesto, lo considero deleterio e controproducente, ma ammetto che il terrore può “funzionare”, almeno per un certo tempo. Credo sia vero per il terrore istituzionale alla Pinochet o alla Stalin, credo sia vero per il terrore puntuale e locale di stampo brigatista, credo sia vero per il terrore militare di un esercito d'occupazione e credo sia vero per il terrore internazionale di stampo integralista. Il terrore “funziona” perché obbliga chi ne è vittima ad entrare in una logica di odio e di ritorsione che poi finisce sempre con lo sfociare in una “lotta finale”. Naturalmente chi semina terrore fa una scommessa sul risultato di quella lotta finale, pensando di poterla vincere. E certe volte la vince pure: basta guardare quanti dittatori sono morti nel loro letto e quanti continuano, ancora oggi, imperterriti, a sedere sulle loro poltrone di velluto.
Ma se tu credi davvero di terrorizzare chi sta nella stanza dei bottoni del capitalismo e della globalizzazione, ammesso che tale stanza esista, allora devo darti una delusione: tu, nel loro gioco, sei previsto dall'inizio. Lo sei come le zanzare lo sono da chi va in vacanza al lago, come le zecche da chi porta il cane a correre nei prati, come la stanchezza dell'indomani da chi corre la maratona. Sei previsto come una piccola seccatura senza conseguenze, come un inevitabile prurito, come una goccia che scende dal naso quando si cammina nella neve, niente di più. E tu sei lì, inoffensiva zanzara, che gridi “L'ho punto! L'ho punto!”, mentre lui già ha in mano il tubetto di crema che gli toglierà perfino la sensazione della tua puntura. Mi spiace dirtelo, ma non sei niente.
Potresti essere qualcosa. Potresti cercare una via diversa da tutte quelle che già non hanno portato a nulla. Ah, se sapessi quanti siamo a sperare di vedere quella via, a sperare che qualcuno ce la indichi! Quanto sarebbe bello se fossi tu!
Ma tu non la vedi, come non la vediamo noi. Senonché, mentre noi continuiamo, goffamente, col fiato sempre più corto, annaspando, tornando giorno dopo giorno sui nostri passi, alternando speranza e sconforto, a cercarla, tu gridi “me ne frego”. Perché non riesci nemmeno a credere che quella via esista. Perché hai già perso. Perché forse già sai che se anche qualcun altro te la facesse vedere saresti troppo impaurito, troppo vigliacco, troppo egoista, per prenderla. Sei come un calciatore che ha perso la partita prima di entrare in campo e che quindi non fa altro che fare falli e dare pedate senza senso.
Guarda, non pensavo nemmeno io che la mia lettera avrebbe preso questa piega e adesso non so come chiuderla. Dire a qualcuno che è una zanzara, che è una zecca, che non è niente, non è bello, me ne rendo conto. E mi piacerebbe essere di quelli che riescono a non cadere in queste trappole, ma non lo sono. Prendi la mia reazione, se lo puoi, come un istante di rabbia. Non credo tu sia una zecca, ma credo che comportandoti come lo fai corri davvero il rischio di diventarla. Ti invito a pensarci su un momento, tutto qui. Fosse anche per giungere alla conclusione che io ho torto e tu hai ragione, fammi il piacere, pensaci su un momento.
Come chiudere? “Cordiali saluti”? “Un abbraccio”? Non me la sento. Posso solo fare ciò che tu non fai, metterci il mio nome.
Massimo

venerdì 7 ottobre 2011

Luca Rodolfo, il mio nuovo eroe

Luca Rodolfo Paolini

Luca Rodolfo Paolini è, m'informa Wikipedia, segretario nazionale di un ossimoro chiamato Lega Nord Marche. Che le Marche fossero una nazione mi era sfuggito, ma non importa.
Luca Rodolfo Paolini è anche deputato. È iscritto al gruppo Lega Nord Padania. Ricordo agli amici lettori che la Padania è quel paese immaginario un po' a sud di Camelot, ma nettamente a nord delle Marche.
Il 28 settembre scorso Luca Rodolfo ha preso la parola alla Camera per offrirci alcuni dati riguardanti il suo lavoro di deputato.
Noi prendiamo molto meno di tanti direttori, segretari comunali e dirigenti locali, che zitti zitti portano a casa molti più soldi con molto minore impegno orario, ha affermato. Infatti, se consideriamo un parlamentare medio – io mi considero un parlamentare medio – che viene qui il lunedì pomeriggio e se ne va il giovedì sera, fa circa 330 ore al mese (qui magari avrei qualcosina da ridire sulla sintassi, però, non essendo specialista della grammatica della nazione marchigiana, preferisco astenermi).
Prendiamo 10 mila, 12 mila euro netti a seconda dei casi. Noi della Lega versiamo anche molto al partito, ma non tutti lo fanno. Noi portiamo a casa intorno ai 9.000 euro netti, con una busta paga di 20 o 25 euro l’ora . Sembra una cosa incredibile, ma se fate i conti è così (mi perdoni la pignoleria, ma in realtà non fa così: 9.000 euro per 330 ore fanno 27,27 euro all'ora). Allora, mi chiedo: è molto ? È poco?.
Lascio il giudizio al popolo (mi scusi ancora, non vorrei dare l'impressione di prendere me stesso per il popolo, ma io trovo che sia poco), ma guardiamo anche chi si impegna molto meno sul piano orario (come ha ragione!).
(Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) (che non sarà il popolo, però è sempre un bel gruppo di deputati).
Bene, esimio deputato, io i conti li ho fatti. Ed eccoli qui.
330 ore al mese fanno 82,5 ore alla settimana, fatte da lunedì pomeriggio a giovedì sera. Ergo: quasi 12 ore il lunedì pomeriggio, più di 23 il martedì, il mercoledì e il giovedì (23 per ogni giorno). È la dimostrazione che voi deputati medi siete degli eroi, anzi degli extraterrestri mandatici dalla Provvidenza per migliorare le nostre vite. Non c'è che dire, la cosa meritava di essere segnalata.
Ma non è tutto. In un anno anche voi deputati medi avete diritto alle ferie estive (diciamo 6 settimane), a quelle di Natale e capodanno (2 settimane) e a quelle di Pasqua (1 settimana). Lasciamo pure perdere il 1° maggio, il 25 aprile e il 2 giugno. In tutto fanno 52-9=43 settimane lavorative all'anno. Se in 4 settimane voi deputati medi lavorate 330 ore, vuol dire che in 43 settimane lavorate 3547,5 ore. Siccome in 43 settimane ci sono 215 giorni lavorativi, il vostro impegno è di 16,5 ore al giorno lavorativo.
Ora, se anche voi deputati medi passate almeno 2 ore al giorno ad alzarvi, fare la doccia, lavarvi i denti, fare colazione, andare al gabinetto, pranzare e cenare, più diciamo 1 ora al giorno per andare e tornare dal vostro posto di lavoro, questo vuol dire naturalmente che vi restano 4,5 ore al giorno per dormire, andare dal dottore, dal panettiere, al cinema o a teatro, fare zin-zin con le vostre mogli, i vostri mariti e le/i vostri amanti, giocare coi vostri figli e i vostri nipoti, telefonare alla mamma, leggere il giornale e tutto il resto.
Cosa posso dire? Non siete solo dei supereroi, siete anche degli instancabili monaci di clausura insonni. E tutto questo per 10, 12 mila euro netti al mese, cioè una miseria...
Sa cosa le dico? Sono fiero di essere italiano.
Grazie, grazie, grazie.

giovedì 6 ottobre 2011

Piccola goduria aperiodica

Daniel Schechtman

Siccome il mio interesse per la chimica è più o meno uguale a quello di un esquimese medio per la coltura del mango o la caccia allo gnu, la notizia dell'attribuzione del premio Nobel a Daniel Schechtman ha suscitato nel mio profondo un interesse uguale a quello di Mariastella Gelmini per la necessità di cercare di dire cose intelligenti. Poi però ho visto la motivazione del premio: la scoperta dei quasi-cristalli.
Poffarbacco, mi sono detto, ma cos'è un quasi-cristallo?
Ovviamente ho voluto prima verificare cosa fosse un cristallo. Ho telefonato alla presidentessa del club delle amiche di Barbie, che mi ha subito risposto “uno Swarovski!”.
Ho capito che dovevo andare un po' più a fondo e ho cercato su Wikipedia. Ahimé, Wikipedia ha deciso di oscurare tutte le sue pagine in italiano in risposta al comma 29 del DDL sulle intercettazioni inventato dal nostro Amato Leader per imbavagliare la stampa. Spedito un pensiero solidale a Wikipedia, mi sono spostato sulla sua versione francese e ho letto che un cristallo è un solido il cui difrattogramma è essenzialmente discreto. Pur provando una certa ammirazione per la discrezione dei difrattogrammi, ho cercato qualcosa di meno oscuro e ho visto che un cristallo è anche un solido poliedrico, più o meno brillante, dalla struttura regolare e periodica formata dalla sovrapposizione ordinata di un grande numero di atomi, molecole, o ioni. Il che è già più chiaro.
Ho continuato la mia passeggiata su internet e mi si sono aperti orizzonti di goduria.
Per rendere la cosa più semplice immaginiamo di togliere una dimensione a un qualsiasi cristallo e di appiattirlo. Otterremo una struttura geometrica regolare del tipo di quella di un pavimento, nel quale una o più piastrelle formano un motivo geometrico che si ripete all'infinito. Questo tipo di ripetizione si chiama periodica. Un esempio di cosa periodica è la matematica, sia quella pitagorica sulla quase si basano addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, sia quella binaria, sulla quale si basa il funzionamento del computer sul quale state leggendo questo post.
Pare che già dagli anni '60 dei matematici si siano messi a giocare con strutture aperiodiche, che avevano la particolarità di non poter essere calcolate da un computer (rigorosamente periodico), ma di aver bisogno di calcoli fatti a mano uno per uno. Geometricamente parlando, ecco un esempio di struttura aperiodica:


Qualche anno prima, nel 1954, uno studente zuzzurellone, nonché futuro matematico e fisico di fama internazionale, Roger Penrose, si era divertito, con l'aiuto del padre, matematico e fisico pure lui, a elaborare il disegno di una “scala infinita”, conosciuta appunto come “scala di Penrose”. I due avevano pubblicato un articolo che finì poi nelle mani del geniale disegnatore M.C. Escher, che trasformò l'idea in alcuni disegni come questi:







Mi direte: ma a cosa mi serve sapere queste cose?
Probabilmente a niente, amici miei! Sono solo chicche, ma di quelle che mi riempiono di gioia e che mi danno voglia di offrirle a tutti. 
E, sempre a proposito di Nobel, se davvero tra un paio d'ore venisse l'annuncio che Bob Dylan ha il Nobel di letteratura, come pare possibile, allora la gioia sarebbe doppia.

Per i più curiosi aggiungo due links (in inglese):
http://plus.maths.org/content/quasicrystals-kleenex
http://en.wikipedia.org/wiki/Penrose_tiling

P.S. Qualche ora dopo: maledizione! Il Nobel è andato a Tomas Tranströmer. Chi aveva mai sentito parlare di Tomas Tranströmer prima di oggi? (e tu, là in fondo, dietro il tuo schermo, non fare il furbetto: lo so che tua madre è svedese...) 

lunedì 3 ottobre 2011

Dei neutrini

Trinh Xuan Thuan

Nonostante la triste notizia della non-esistenza di un tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso, notizia data in un primo tempo da un comunicato ufficiale del ministero dell'istruzione, università e ricerca dell'eccellente e istruitissima Mariastella Gelmini, il fatto resta: pare che i neutrini vadano più veloci della luce.
Prendendoci la briga di ricordare che la velocità della luce non è di 300.000 chilometri al secondo, ma più precisamente di 299.792,458, è comprensibile che gli scienziati del CERN di Ginevra abbiano creduto di avere le traveggole quando i loro autovelox hanno indicato 299.792,458.000.006. Al 6 finale non riuscivano proprio a crederci, tant'è che hanno passato sei mesi a verificare l'autovelox, ad assicurarsi che il tunnel della Gelmini fosse davvero sgombro e che nessuno di loro avesse bevuto un Campari di troppo prima di fare i conti.

Ma forse è bene ricordare cos'è un neutrino, anche solo per l'aspetto poetico e perfettamente astruso della faccenda.
Un neutrino è un fermione, cioè una particella elementare diversa da un bosone (mi raccomando: sempre ricordarsi di non confondere fermioni e bosoni...).
Se ho capito bene è anche un quark, e pure un leptone (fosse un adrone, cambierebbe tutto...).
Ha uno spin, cioè un momento angolare intrinseco (il che dice molto a noi comuni mortali...) di un valore di 1/2.
Ha una massa di 0,05 eV/c2, ovvero di 0,05 elettronvolt moltiplicati per il quadrato della velocità della luce (e le cose diventano sempre più chiare...).
Non ha carica elettrica.
Non ha carica di colore (il che non ha niente a che fare coi pennarelli, ma con l'interazione forte caratteristica di quark e gluoni).
Insomma, il neutrino è un robo che è inutile che noi semplici mortali cerchiamo di capire cosa sia, tanto non ci riusciremmo.
Fondamentalmente è un coso tanto piccolo che ce ne sono quantità che attraversano continuamente i nostri corpi, ma anche i muri delle case, le montagne e perfino i cervelli dei nostri politici (che nonostante le apparenze pare proprio siano più grandi di un fermione) senza che la cosa ci faccia un baffo.
Mi direte allora: “Ma, scusa, perché dovremmo preoccuparci di questi affari che non vedremo né sentiremo mai quando invece la Fiorentina si è fatta rimontare dalla Lazio e Ivano Fossati ha detto che non vuole più cantare?” Giusta osservazione, ma un tantino miope.
Di fatto 'sti neutrini, avendo percorso 732 chilometri in 6 miliardesimi di secondo in meno della sacrosanta velocità della luce , hanno 1) relativizzato Einstein, che della relatività è stato il papà, 2) provocato un terremoto con tanto di tsunami nel mondo di quelli che di queste cose si occupano, e 3) aperto nuovi orizzonti sulla comprensione del mondo in cui viviano, il che è una cosa comunque importante e direi pure fondamentale.

In realtà tutto quanto sopra non è in fondo che un pretesto per segnalarvi l'esistenza di un libro bellissimo, che sarà anche stato scritto nel 1998 e non tiene quindi conto delle ultime scoperte, ma che è pero una meraviglia di semplicità e di poesia. L'autore è uno dei miei idoli (tipo Bob Dylan, Alfred Jarry, o Benvenuto Cellini): l'astrofisico vietnamita Trinh Xuan Thuan, attualmente professore all'università della Virginia e ricercatore associato all'istituto di astrofisica di Parigi. A mio modesto parere, Trinh è il migliore volgarizzatore scientifico vivente e, laddove altri sembrano sforzarsi in maniera un po' macchinosa di creare dei ponti comprensibili tra scienza e coscienza, ovvero tra sapere scientifico e spiritualità, lui lo fa con una generosità, una chiarezza e un'intensità davvero ammirevoli.
Due soli dei suoi libri sono tradotti in italiano: uno è Dal big bang all'illuminazione, dialogo con Matthieu Ricard, monaco buddista tra i principali collaboratori del Dalai Lama; l'altro, quello più importante, è Il caos e l'armonia. Bellezze e simmetrie del mondo fisico, ed. Dedalo, disponibile a 17,85€ sul sito Hoepli http://www.hoepli.it/libro/il-caos-e-l-armonia-bellezza-e-asimmetrie-del-mondo-fisico/9788822002129.asp
Ve ne avevo già parlato in un post nell'ottobre scorso, ma siccome non ve lo siete ancora comprato, insisto.
Per chi legge il francese, consiglio anche Origines, ed. Fayard, 2003, L'empire de la lumière, ed. Découvertes Gallimard, 2008, e La mélodie secrète, ed. Fayard, 1988.
In regalo, quest'immaginetta che potete stampare e tenervi sul comodino per le preghiere della sera.